ING. PAOLO BOSCOLO SCIENTIFICA




FOCUS










IL VIRUS, GLI ANZIANI, LE RSA

La difficoltà nella difficoltà per gli ospiti delle RSA



ABSTRACT
A bomb called Coronavirus has been triggered in the heart of our society, in our habits, changing the lives of many, perhaps everyone. In some cases dramatically, with job loss, or creating difficult prospects in the short term. The situation in the nursing homes (RSA), structures where it is difficult to manage the quality of life of the guests, has become critical, if not dramatic. The guests are the elderly, and patients with various pathologies. The problem seems to concern a minority, instead it concerns all of us. And it is deeply painful.


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Una bomba chiamata Coronavirus si è innescata nel cuore della nostra società, nelle nostre abitudini, cambiando la vita di molti, forse di tutti. In alcuni casi in modo drammatico, con perdita del lavoro, o creazione di prospettive difficili nel breve periodo. Si parla ogni giorno delle vittime, del numero di morti, ma se si potesse quantificare il disagio che sta entrando in tutte le famiglie i numeri sarebbero spaventosi, forse oltre ogni aspettativa. In tutto questo, quasi silenziosamente, la situazione delle RSA italiane, già difficile di per sé per sua natura, è diventata quantomeno critica, se non proprio drammatica. Perché nelle RSA gli ospiti sono in prevalenza persone anziane, fragili, spesso pazienti con più patologie. In altre parole sono le vittime “ideali” di Sars-Cov-2.

Ma cosa è una RSA, e chi sono gli ospiti che vi soggiornano?
Le Residenze Sanitarie Assistenziali, sigla RSA, introdotte in Italia a metà degli anni novanta, sono strutture non ospedaliere, comunque a impronta sanitaria, che ospitano per un periodo di tempo variabile persone non autosufficienti, che non possono essere assistite in casa e che necessitano di specifiche cure mediche da parte di più specialisti e di un'articolata assistenza sanitaria.
Il periodo di degenza presso una RSA varia da poche settimane a un tempo più lungo, anche indeterminato, in quanto la minore intensità delle cure sanitarie, e i tempi più prolungati di permanenza degli assistiti, in relazione al loro stato psico-fisico, possono in alcuni casi determinare nella stessa anche "ospitalità perma¬nente".

Cosa si può aspettare normalmente un ospite di RSA?
Le RSA sono per definizione luoghi in cui si concentrano l’elevata prevalenza di deterioramento cognitivo e di grave dipendenza funzionale; la condivisione di spazi comuni e la difficoltà di privacy ambientale; la scarsa interazione o uscita all’esterno; la difficoltà di operare scelte, e di controllo per la propria vita e per le autonomie residue. Queste ultime tre caratteristiche, in particolare, definiscono l’istituzione totale (Degenholtz, 2010). È proprio in queste istituzioni - nelle quali le persone anziane trascorrono lunghi periodi di tempo, spesso fino al decesso o in condizioni di malattia avanzata, a volte di perdita di individualità, di tempo (passato, presente e futuro) e di significato - che il concetto di qualità della vita e di benessere dovrebbe servire da chiave di lettura per dirigere l’intervento socio-assistenziale.

Quali sono normalmente le difficoltà per gli ospiti?
Quello che davvero interessa è che vi sia una corrispondenza fra il bisogno (espresso o no) e la risposta. Per questo un percorso di qualità e di accreditamento si differenzia dalla semplice valutazione di quello che si fa e dovrebbe arrivare a misurare anche “come” lo si fa e quale sia la percezione di chi riceve il servizio. Uno dei problemi più incisivi sulla salute degli anziani è la solitudine ai quali spesso sono purtroppo destinati. Questa parola, “solitudine”, usata tanto di frequente ma talvolta senza soffermarsi sul suo reale significato, nasconde disagio e dolore profondo, fino a reazioni difensive gravi da parte della mente che alla lunga non può sopportare questa condizione.
La solitudine degli anziani è una piaga portata alla ribalta da un recente studio condotto dal terapeuta John Caioppo presso l’Università di Chicago che ha esaminato con attenzione gli effetti e ne ha tratto dettagliate conclusioni.
Secondo lo studioso americano, la solitudine che attanaglia una persona “ormai” anziana, rischia di compromettere inevitabilmente lo stato di salute generale e rischia di incidere sul tasso di mortalità prematura fino al 14% in più rispetto a coetanei non abbandonati a loro stessi.
Nonostante spesso si pensi che l’obesità e le ristrettezze economiche possano essere un fattore determinante per caratterizzare lo stile di vita di un anziano, questa ricerca ha evidenziato quanto la solitudine sia altrettanto dannosa. Con una percentuale di morte prematura che sfiora quasi il doppio di quelle causate dall’obesità ed equiparabile ai decessi in condizioni finanziarie critiche, la solitudine degli anziani sta diventando una piaga sociale della quale dobbiamo prendere piena coscienza e responsabilità. Anche perché, pur sembrando un problema lontano da noi, che riguarda “gli altri”, è in realtà un problema nostro, ci riguarda, o quantomeno potrebbe riguardarci.
La solitudine infatti, oltre ad accentuare i già evidenti e prevedibili problemi di salute legati alla normale decadenza senile, come la perdita di vista e di udito, porta inesorabilmente ad una condizione emotiva e fisica più difficile da controllare. Aumento sensibile della pressione sanguigna, alti tassi di cortisolo che altro non è che l’ormone dello stress, sintomi depressivi e disturbi del sonno.

Tutte queste sollecitazioni nocive non fanno altro che intaccare il corretto funzionamento del sistema immunitario dell’anziano, andando a modificarne il corretto funzionamento delle cellule di difesa.
Non c’è da dimenticare che uno stato di prolungata solitudine rischia oltretutto di alimentare senza controllo, il nascere di una insidiosa e maligna condizione psicologica: la depressione (altra parola molto usata, un “mondo a sé” già da sola, se possiamo dire così, che nasconde disagio decisamente grave e profondo).
Ci sono vari modi per ovviare al problema della solitudine degli anziani. Coinvolgerli nelle attività e nelle uscite familiari. Condividere con loro esperienze, tempo libero e viaggi insieme. Promuovere la loro indipendenza non significa soltanto lasciarli soli a svolgere le loro attività quotidiane, ma vuol dire anche incentivare i loro contatti con gli ex colleghi di lavoro o aiutarli nel formare nuove amicizie e nuove passioni alle quali dedicare le inevitabili ore da trascorrere durante la giornata.
Un anziano attivo, partecipe, mentalmente occupato e costantemente sollecitato nei rapporti umani, sarà una persona più protetta e tutelata nel futuro.

Nel pieno dell'emergenza Covid-19 la criticità è dunque esplosa ovunque, anche nelle regioni meno colpite dal virus. I lutti si sono moltiplicati, i positivi non si contano più anche fra il personale: nonni e zii scomparsi in solitudine, i familiari per giorni senza notizie. A far luce su questa vicenda citiamo il monitoraggio dell'Istituto Superiore di Sanità (dati della scorsa estate) che, su 577 strutture raggiunte, il 26,6% del totale (2.399), segnalava 3.859 morti dal 1 febbraio con 133 pazienti risultati positivi al tampone Covid-19 e 1.310 con sintomi simil-influenzali.
Il 37,4% del totale dei decessi - ben 1.443 su 3.859 - ha interessato ospiti con infezione da Sars-CoV-2 o con manifestazioni compatibili con la Covid-19.

Entrando in una RSA, dal cortile, vedo affacciato un anziano (ma non troppo) signore alla finestra della propria stanza, si è appena rasato, si sta godendo un raggio di sole che riscalda l’ala dell’edificio in cui si trova il suo affaccio. Gli chiedo se potrà scendere, mi risponde che no, non potrà uscire dalla stanza per un po’ e che cerca di godersi quel piacevole raggio di sole finché splende. “Dura da tanto”, mi dice, “chissà quando finirà”. La Pandemia. Già, quando finirà. Sembrava potesse durare qualche mese, in realtà abbiamo appena “festeggiato” un anno di mascherine, di colorazioni delle regioni, di restrizioni varie, di isolamento.
Altra RSA, entro e vengo invitato a bardarmi completamente con dispositivi di protezione individuale, dopo i soliti controlli di temperatura e moduli da riempire con autodichiarazioni. Come me anche tutti gli operatori. Una signora è seduta al tavolo della sala comune, impossibilitata a visitare gli ospiti degli altri piani, con i quali portava avanti quel minimo di vita sociale, e con lo spettacolo degli operatori coperti da visiere, mascherine, tute protettive. Mostra nervosismo, vorrebbe muoversi, ma non può. La guardo e vorrei fare qualcosa per lei. Ma sono lì per fare il mio lavoro, possibilmente senza trattenermi oltre lo stretto necessario. E allora mi domando se la signora non pagherà il prezzo supplementare del distanziamento, delle precauzioni, delle restrizioni, con un peggioramento delle proprie condizioni psico-fisiche. Posso solo sorriderle, e svolgere il mio lavoro al meglio, con tutto l’impegno che posso mettere.

Le difficoltà delle RSA sono dunque ulteriormente aumentate con il Virus, e tanto.
Con l’emergenza pandemia le RSA hanno dovuto purtroppo prendere forti misure di prevenzione e di controllo, anche drastiche, con la conseguenza di aggravare ulteriormente il disagio degli ospiti. Abbiamo notizia del fatto che alcune strutture sono costrette ad allestire e disallestire “reparti Covid” dedicati.
L’effetto non lo vediamo dal nostro punto di vista, perché siamo lontani dalle RSA, né lo possiamo comprendere dai notiziari o dai giornali, che a nostro avviso non trattano l’argomento come potrebbero, a favore di fiumi di inchiostro sulle dichiarazioni quotidiane della politica.
Gli anziani, gli ospiti delle RSA, vengono curati tra mille difficoltà, con lo spettro del Covid-19 dietro ai sintomi comuni. Tra quelli che guariscono, vorrei dire “che si salvano”, sono riportati tanti casi di persone che non reagiscono più, che si sono chiuse in sé stesse. Casi di persone che non riconoscono i propri famigliari, almeno per un determinato periodo di tempo, e che si portano addosso uno stato di angoscia, talvolta mettendo le mani a coprire il volto.

Cosa possiamo fare per loro?
Prendiamo almeno coscienza che è un problema profondo ed estremamente doloroso. Facciamo qualcosa se è nelle nostre possibilità, consideriamolo un problema che ci riguarda, anche se invisibile. Perché, ci riguarda, eccome.

Scitto da Paolo Boscolo
Pubblicato il 14 marzo 2021

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FONTI
Istituto Superiore di Sanità
La Repubblica - Testata giornalistica
I Luoghi della Cura - Rivista online
Amnesty International - “Abbandonati”, pubblicazione anno 2020
Regione Lazio

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